La strada del ritorno

 


Genere: Fantasy ragazzi

Autore: Gavriel Savit

25 maggio 2022

Nel villaggio di Tupik, da qualche parte nell'Europa orientale, sono tutti in fermento: il rebbe, il maestro della vicina città di Zubinsk ha annunciato che il matrimonio dell'ultima nipote sarà aperto a chiunque voglia partecipare. Questo significa però che anche i demoni e le creature che vivono nella Terra Lontana avranno la possibilità, per quel giorno, di varcare il confine. Gli unici che rimarrebbero volentieri a casa sono Yehuda Leib, bravissimo a cacciarsi nei guai, e Bluma, la figlia del fornaio, se non fosse che una catena d'imprevedibili eventi li porterà prima proprio nella Terra Lontana e poi a Zubinsk, tallonati da una folla di demoni e dell'Angelo della Morte in persona, al quale Bluma ha rubato involontariamente lo strumento di raccolta delle anime, un piccolo cucchiaio, e Yehuda Leib lo spirito del padre mai conosciuto. Chi riuscirà ad aiutarli? Ce la faranno a tornare a casa vivi? 


Salve salve!
Il 25 maggio è uscito per Bompiani un middle grade dall’aria davvero interessante, ispirato alla demonologia ebraica dell’Europa dell’Est. Il titolo è “La strada del ritorno”, l’autore è Gavriel Savit. Grazie mille Bompiani per la copia digitale!

Nel villaggio di Tupik vivono due ragazzi nati nella stessa notte: Yehuda Leib, un passa guai che viene incolpato sempre di tutto, anche quando è innocente, e Bluma, la figlia del fornaio. I due non si incontrano spesso, conducono due vite molto diverse, finché non incontrano la Morte.
Yehuda Leib incontra l’Angelo della Morte mentre scappa da Tupik, poiché il padre della sua nemesi, l’unico altro ragazzo della sua età con cui non è mai andato d’accordo per le evidenti differenze di ceto sociale, ha deciso di venderlo ad Avimeleech, un uomo definito crudele, pericoloso, che rapisce i bambini per venderli all’esercito.
Bluma incontra la Signora Oscura nella propria casa, quando va a prendere la sua Bubbe, sua nonna.
L’esperienza di Yehuda Leib, all’inizio, non è traumatica quanto quella di Bluma, che non solo vede la Signora Oscura in volto, ma le ruba anche qualcosa di molto importante che le appartiene e la utilizza per scappare da lei, terrorizzata da ciò che ha visto.
Yehuda Leib, ignaro, aiuta la Morte ad arrivare a Tupik, finché l’Angelo non reclama qualcuno che Yehuda Leib non ha mai avuto la possibilità di conoscere e a causa della Morte non potrà mai farlo.
Mentre Bluma scappa da lei, Yehuda Leib lo insegue. Apparentemente le loro strade non si sarebbero mai dovute incontrare, invece si intersecano spesso, nei luoghi più strani, per le ragioni più inaspettate, fino ad arrivare alle mete meno probabili, in un viaggio nel regno dei demoni e delle creature del folklore ebraico est-europeo.

“[…] allora ai gomiti ci sarebbe il cancello di un cimitero. È lì che il mondo dei morti sfrega contro quello dei vivi. È lì che il mondo dei vivi si consuma.”

La cosa che mi è piaciuta di più di questo romanzo è stata l’atmosfera, donata da un folklore ricco di creature e di demoni, interessante da approfondire.
L’ambientazione est-europea e la presenza massiccia del folklore dei demoni mi hanno spesso riportato alla mente i racconti ucraini di Gogol’, in cui i demoni spuntano nella realtà come se fossero sempre stati lì, e forse è così, serviva solamente la persona giusta che gli aprisse le porte per diventare visibili. E questa consapevolezza della presenza dei demoni, influenza non solo il tono della narrazione, il comportamento dei personaggi, l’atmosfera, ma anche il modo di approcciarsi del lettore.
Ecco, anche per “La strada del ritorno” è così (non ai livelli di maestria di Gogol’, ovviamente), ma l’autore riesce a creare un’atmosfera duplice, una reale e monotona e una fantastica e veloce. Crea due realtà che si accavallano, finché notare la differenza tra l’una e l’altra diventa difficile, finché non è troppo tardi e abbiamo perso la strada verso casa, perdendoci nelle disorientanti Terre Lontane.
Dal punto di vista stilistico, quindi, ho apprezzato molto il romanzo. Bellissime le descrizioni, davvero poetiche, mi è piaciuta particolarmente la costruzione di alcune scene, parallele nei due punti di vista, ha reso le scene quasi fiabesche.
La narrazione raggiunge il suo picco negli ultimi due capitoli, davvero bellissimi.

“Si dice spesso che la notte è più buia prima dell’alba. Questo è evidentemente falso. La notte è più buia nel suo centro esatto.”

Passiamo al tasto dolente: la trama. Ho avuto come l’impressione che fosse una storia a metà.
Le vicissitudini di un intero romanzo non sono state bilanciate bene dalla risoluzione finale, anzi è come se gli eventi fossero slegati tra di loro, inconcludenti per lo scopo reale del romanzo e il fine ultimo del viaggio. Da un punto di vista “visivo” sono belle da leggere, emozionanti, profonde (anche se avrebbero potuto esserlo di più se fossero state più significative ai fini della trama), però, restavano lì, isolate, sconclusionate.
Ho avuto come l’impressione che l’autore abbia voluto costruire qualcosa di epico, fatto di intrighi e guerre millenarie, intorno a qualcosa di molto semplice come il viaggio di crescita di due ragazzi. Il fatto è che a volte il troppo storpia, e in questo caso è stato così.
Gli incontri con i demoni da parte dei ragazzi hanno contributo alla loro crescita, assolutamente sì, infatti sono state inserite nei momenti giusti, è il focus ad essere sbagliato. Invece di concentrarsi sulla crescita dei ragazzi, avvenuta sullo sfondo, era puntato sugli intrighi e sulle lotte di potere che alla storia non hanno dato nulla, nessuna spinta, nessun cambiamento. Hanno solo rubato spazio alla parte davvero interessante: lo sviluppo dei protagonisti e le loro interazioni in un luogo così particolare e poco conosciuto come il mondo folklorico ebraico est-europeo.

“Perché il buio dà forma alla luce.
Perché il cucchiaio dà forma al brodo. Perché il cane dà forma al gregge.”

Per quanto riguarda i personaggi, quelli più interessanti, per me, sono stati Bluma e l’Angelo della Morte. Ho trovato le ragioni della fuga di Bluma più sensate rispetto a quelle di Yehuda Leib, secondo me troppo deboli. Però anche qui è mancato il pathos, non ho empatizzato abbastanza con nessuno dei due perché la storia si focalizzava costantemente su altro, senza permettermi di assimilare le loro paure, vivere le loro disavventure, assistere alla loro crescita.
Avere il punto di vista della Morte è qualcosa che mi affascina tantissimo, a maggior ragione quando viene rappresentata nella sua “umanità”, un Angelo stanco di un lavoro che reclama tanto… troppo. Però, il discorso è sempre lo stesso, questa stanchezza di cui la Morte si lamenta viene lasciata al vento, praticamente dimenticata se non per costruire qualche frase d’impatto.

“La strada del ritorno” mi è sembrato un romanzo vuoto: bello fuori, nella forma, ma dentro… la sostanza non dà abbastanza.
Voi l’avete letto? La pensate come me oppure l’avete amato? Fatemi sapere nei commenti, sono davvero curiosa. Magari riuscite a mostrarmi un punto di vista differente.
Baci

Voto libro - 2.5











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