Vorrei farla finita, ma anche mangiare toppokki

Genere: Therapy Memoir

Scritto da: Baek Sehee

18 Aprile 2023


Baek Sehee è giovane, ha una laurea in Scrittura creativa e lavora per una casa editrice: ha una vita apparentemente serena, una carriera che dovrebbe farla sentire appagata. Eppure un forte malessere esistenziale l'accompagna, non una vera e propria depressione, piuttosto un'apatia cronica che le impedisce di vivere pienamente i rapporti di amicizia, l'amore, i successi lavorativi. Baek si rivolge a uno psichiatra per cercare di dare un nome al suo stato d'animo e scopre di soffrire di distemia, una forma più lieve della depressione, ma con sintomi persistenti. Trascrivendo le sedute settimanali con lo psichiatra, Baek racconta con semplicità e ironia le difficoltà che si trova a vivere giorno dopo giorno; l'ansia del non saper gestire al meglio le nuove amicizie, l'ossessione per il proprio aspetto fisico, l'insicurezza provocata dal giudizio degli altri suscitano in lei una serie di meccanismi di difesa e comportamenti autolesionisti. E, soprattutto, un alternarsi continuo tra la sensazione di vuoto lancinante e l'allegria di una serata con gli amici; tra l'apatia e il desiderio impellente di uscire per gustare un bel piatto di gnocchi di riso saltati in padella e conditi con salsa piccante: i toppokki, il suo street food preferito. Come conciliare queste sensazioni così distanti tra loro?

Ciao, lettrici e lettori!
Penso sia capitato anche a voi, almeno una volta, di essere attratti irrefrenabilmente dal titolo di un libro, così tanto da spingervi a comprarlo d’impulso, senza sapere quasi nulla della trama.
Nel mio caso, avevo adocchiato da tempo il libro di cui vi parlerò oggi, il cui titolo incuriosisce in modo inevitabile chi lo legge. Per via del numero ridotto di pagine appare come un’opera veloce, ma racchiude discorsi profondi che inducono il lettore a riflettere sulla propria vita, dalle relazioni interpersonali a quella che si ha con sé stessi.
Si tratta di “Vorrei farla finita, ma anche mangiare toppokki”, un memoir di Baek Sehee edito da Mondadori.

“Credo di essere una debole e ho l’impressione che tutti gli altri se ne siano accorti. Anche se dovessi reagire in modo aggressivo, per loro sarei poco credibile perché conoscono fin troppo la mia fragilità. Ho sempre paura di apparire patetica ai loro occhi.”

“Vorrei farla finita, ma anche mangiare toppokki” è un libro semplice che è capace di provocare pensieri complessi. Baek Sehee ha una laurea in Scrittura creativa, un lavoro stabile come social media director in una casa editrice, dei colleghi con cui esce spesso e una situazione familiare un po’ complicata per via del rapporto con le due sorelle. Da piccola ha vissuto in povertà, e ciò ha fatto sì che crescesse con un estremo disagio nei confronti di altre persone con più possibilità delle sue. Il suo problema principale è dato dalla dipendenza, senza la quale non saprebbe come vivere. Essere dipendente da qualcuno, così come il riconoscersi necessariamente inferiore o superiore ad altre persone, è una questione che la blocca e, alle lunghe, la porta a vivere di ansia e stati depressivi. Ecco perché si rivolge a uno psichiatra e, grazie a lui, scopre di avere una forma depressiva che prende il nome di “disturbo distimico”.

Il libro racchiude le conversazioni che Baek ha tenuto con il suo psichiatra, alternando i capitoli delle sedute a quelli dedicati a pagine di diario in cui annota riflessioni inerenti agli argomenti trattati nel suo percorso clinico.
È facile empatizzare con lei, specialmente perché i temi di cui tratta sono da sempre attuali e riguardano tutti noi. Alcuni pensieri sono perfettamente condivisibili, altri un po’ meno, ma è impossibile non provare nulla durante la lettura.
Se vi sentite persi, è proprio l’opera adatta a voi.

“Tutte le persone presentano vari aspetti, in loro convivono felicità e infelicità, e in loro ogni cosa è relativa. In realtà, sono io ad aver sempre avuto la più bassa considerazione di me stessa, non gli altri.”

Devo dire che le premesse di questo libro erano eccezionali, e in parte le mie aspettative sono state soddisfatte. Per quanto riguarda le opere nonfiction, nello specifico memoir o biografie, in genere non tendo mai a dare un giudizio su quello che è il vissuto dell’autor*; piuttosto, mi dedico allo stile di scrittura e all’impostazione della narrazione in sé.
Qui, però, mi sono ritrovata a dover fare i conti con il mio disappunto nei confronti delle parole che lo psichiatra ha rivolto alla protagonista e, nello specifico, al peso dato alle singole questioni. Infatti, il libro appare confusionario e affrettato proprio perché non credo che alle tematiche sia stata data la debita importanza, situazioni che ognuno di noi affronta e che, prima o poi, pesano sul nostro cuore come un macigno, così come è successo a Baek Sehee. Mi sono sentita legata all’autrice proprio per tutto ciò che l’ha condotta al percorso clinico intrapreso, ma non ho trovato in quest’opera l’aiuto che credevo avrei ottenuto.
Ciò che mi sorprende è che, alla fine dell’opera, perfino lei ammette di non averlo ricevuto.
Quindi, mi viene spontaneo domandarmi come mai abbia deciso di basare tutto sulle sedute psichiatriche fallimentari e con pochissimi spunti di riflessione, quando avrebbe potuto tranquillamente narrare il suo percorso e ciò che continua ad apprendere percorrendo, giorno per giorno, la tortuosa via della conoscenza di sé stessa. In sintesi, credo che l’intento di toccare le corde del nostro cuore, così come spiegato nell’introduzione dall’autrice, sia stato raggiunto solo in parte e solo grazie alla narrazione, non alle parole del medico.

A riprova di questo, ciò che mi ha colpito di più (insieme ai capitoli alternati sulle sue riflessioni personali post-sedute) è stata l’ultimissima sezione del libro intitolata “Appunti sparsi sulla corretta funzione della tristezza” in cui, con racconti brevi ma intensi delle proprie esperienze di vita, mi ha fatto capire come non tutto il male viene per nuocere e che a volte va bene anche non essere coraggiosi o perfetti, e nemmeno speciali. Vi menziono i titoli delle mie pagine finali preferite, con la speranza che vi incuriosiscano a tal punto da leggere quest’opera: “Il problema dell’amore”, “Mia zia”, “Un periodo molto buio”, “Seppellire e mantenere seppellito”.

Io credo che “Vorrei farla finita, ma anche mangiare toppokki” abbia la capacità di comunicare ad ogni lettore qualcosa di diverso, in base a ciò di cui il suo cuore sente di aver bisogno. Quindi, non lasciatevi abbattere dalle mie considerazioni e date a questo libro una possibilità, con la speranza che sappia lasciare il segno e che svolti un po’ la vostra quotidianità.
Una cosa è certa: in più punti vi sentirete abbracciati dall'autrice, fino a raggiungere la consapevolezza che non siete soli come credete. E cosa più bella di questa non c'è.


Voto libro - 3











 

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