Il filo avvelenato




Genere: Storico

Autrice: Laura Purcell

 21 settembre 2021

Gran Bretagna, prima metà dell'ottocento. Dorothea Truelove è giovane, bella e ricca. Ruth Butterham è giovane, ma povera e consumata da un segreto oscuro e terribile. Un segreto che rischia di condurla alla forca. I loro destini si incrociano alla Oakgate Prison, dove Ruth è rinchiusa in attesa di processo per omicidio e dove Dorothea si dedica ad attività caritatevoli; soprattutto, qui la ragazza trova il luogo ideale per mettere alla prova le neonate teorie della frenologia – secondo cui la forma del cranio di una persona spiega i suoi peggiori crimini – che tanto la appassionano. L'incontro con Ruth fa però sorgere in lei nuovi dubbi, che nessuna scienza è in grado di risolvere: è davvero possibile uccidere una persona usando solo ago e filo? La storia che la prigioniera ha da raccontare – una storia di amarezze e tradimenti, di abiti belli da morire – scuoterà la fede di Dorothea nella razionalità e nel potere della redenzione.

Salve lettrici e lettori!
In occasione del review party, vi parlo del nuovo libro di Laura Purcell pubblicato in Italia.
Dopo “Gli amici silenziosi”, pubblicato da DeA Planeta (di cui in blog trovate la recensione), stavolta è Mondadori a pubblicare “Il filo avvelenato”, uscito il 21 settembre.
Ringrazio la casa editrice per la lettura in anteprima.

Dorothea Truelove è una giovane donna completamente diversa da quella che la società inglese dei primi dell’800 vorrebbe. Si è convertita al Cattolicesimo Romano insieme alla sua defunta madre, da cui ha ottenuto anche la passione per la frenologia (una teoria scientifica sviluppatasi nel XIX secolo, secondo cui dalla conformazione del cranio è possibile determinare il carattere e le propensioni della persona).

“È stata mia madre, donna devotissima, a insegnarmi le sette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; visitare i carcerati; seppellire i morti. Della maggior parte di questi compiti ci occupavamo insieme, quando ancora era in vita. Poi io e papà l’abbiamo sepolta, depennando un’altra voce dalla lista.”

Dorothea ha preso particolarmente a cuore la causa delle donne in carcere, che va spesso a trovare alla Oakgate Prison. Tra le nuove detenute c’è Ruth Butterham, una ragazzina di sedici anni accusata dell’omicidio della sua padrona.
Ruth ha un’aura oscura intorno a sé, misteriosa e spaventosa; è una sfida per Dorothea, la quale desidera studiare il suo cranio per dimostrare la teoria per cui, nonostante la sua conformazione, se si aiuta la persona a sviluppare altre zone, il cranio potrebbe cambiare e così anche le sue predisposizioni.
Ma Ruth pone anche un’altra sfida a Dotty. La ragazza è convinta di avere un potere, una maledizione, che si risveglia quando ha in mano ago e filo.
Ruth confida a Dotty di aver ucciso tante persone e di aver provocato dolore e sofferenze ad altre, sin da piccola, sin da quando ha iniziato a cucire.
Ruth non ha mai avuto una vita facile o felice. Era povera e brutta, a scuola era maltrattata, derisa e picchiata dalle compagne per queste ragioni, mentre a casa aleggiava nell’aria un’atmosfera di disperazione.
Il padre era un pittore ubriacone, la madre una sarta che prendeva ogni lavoro possibile da Mrs Metyard e che portava a termine alla debole luce di una candela per guadagnare qualcosa.
Ruth era piena di odio, rancore, infelicità, tristezza, desiderio di vendetta e di rivalsa. E tutto questo lo riversava nell’ago e nel filo, nei suoi punti, nei suoi ricami. E le conseguenze dei suoi sentimenti negativi li subiva chi indossava o veniva a contatto con i tessuti lavorati da lei.
Un potere terribile solamente alimentato dalla triste e sfortunata esistenza che le è toccata e che infine l’ha portata in galera, in attesa di una pena di morte convinta di meritare.

“Ogni lavoro di cucito può contenere una vita intera; è questo che la gente non capisce. Si può trasmettere all’ago qualsiasi emozione del cuore umano e il filo la assorbirà. Si può ricamare con tenerezza, passare a forza di punti dal panico alla calma, si può ricamare con odio.”

All’inizio Dotty non crede alle sue storie, è una donna ragionevole, che si affida alla scienza e alla logica, determinata a dimostrare le sue teorie frenologiche. Ma la storia di Ruth la perseguita, la cattura, la confonde, la incuriosisce, ma soprattutto la turba. Anche perché le sue ricerche non sembrano dare le risposte sperate e il giorno del processo si avvicina.
Nel frattempo, poi, Dotty deve far fronte anche ai suoi problemi di giovane ereditiera dell’alta società: il padre insiste che trovi un buon marito, mentre lei ha già trovato l’amore con un poliziotto, attende solo il momento giusto.

La storia è narrata sia dal punto di vista di Dorothy che di Ruth. Dorothy ci tiene ancorati al presente e alla logica, con le sue teorie scientifiche e i suoi problemi concreti, mentre Ruth ci racconta della sua breve, terribile e triste vita, ci trascina in un vortice di poteri inspiegabili e atmosfere macabre. Ruth e Dotty sono due donne molto diverse, come è comprensibile: il problema maggiore di Dotty è quello di sposare l’amore della sua vita senza perdere l’eredità lasciatele dalla madre, mentre, nel frattempo, si diletta con la frenologia e si alleggerisce l’animo con opere di carità; Ruth, invece, non ha conosciuto altro che sofferenze e torture, odio e desiderio di vendetta.
Nonostante tutto, entrambe ci mostrano due realtà opposte ma che convivevano nell’Inghilterra dell’epoca: da un lato l’alta società con gli sfarzi e le guerriglie ereditarie; dall’altro la povertà, le malattie, i soprusi e la schiavitù di persone condannate a vivere nello sporco, ad accettare lavori umilianti, a vivere miseramente senza neanche un tozzo di pane da mettere nello stomaco.
È stato straziante e doloroso leggere di questa realtà, che, diciamoci la verità, osserviamo sempre più spesso anche oggi. La storia insegna, ma sembra che stiamo imparando e ripetendo solo gli aspetti negativi.

“Si dice che l’odio sia un’emozione inutile, una forza distruttiva che non può condurre a nulla di buono. Non è così. Io alla rabbia mi sono aggrappata, l’ho brandita come un’arma.”

Tornando al romanzo, come dicevo la storia è raccontata sia da Dotty che da Ruth, e devo dire che ho preferito i capitoli della sedicenne. La sua storia è straziante ed è quella che ha l’elemento sovrannaturale che in fin dei conti mi ha convinta a leggere il romanzo. L’odio e il rancore di Ruth sono talmente potenti, la riempiono completamente, che la ragazza è capace di infonderli nelle sue creazioni, e più sono profonde le sue emozioni più ciò che crea è spettacolare. La sua storia mi ha catturata completamente; è il suo racconto che rende macabro il romanzo, è nelle sue parole che si nascondono il mistero, l’ansia, l’angoscia, l’attesa.

Per questo i capitoli di Dorothy mi hanno spesso infastidito; con le sue lamentele sul matrimonio, l’eredità, l’alta società, blah blah blah. In qualche modo spezzava la narrazione avvincente e oscura di Ruth.
Col senno di poi, però, devo dire che senza i capitoli di Dorothy non avremmo potuto conoscere il suo personaggio fino in fondo e non ci sarebbe potuto essere quel twist finale inserito alla perfezione e che mi ha spiazzata.

“Ognuno ha il diritto di sentirsi come vuole, Ruth, anche se non tutti hanno la libertà di agire di conseguenza.”

Non avevo letto “Gli amici silenziosi”, ma sapevo che Laura Purcell fosse una maestra del gothic horror e mystery. “Il filo avvelenato” è stato uno di quei romanzi che ho letto velocemente, perché sapevo che se l’avessi portato per le lunghe mi avrebbe influenzato troppo. L’angoscia sarebbe fluita dalle pagine e avrebbe intriso il mio umore (e anche il mio sonno), un po’ come i punti e i ricami di Ruth.
Ma come dico spesso, anche in questo si nota la bravura di chi scrive; avere il potere di influenzare l’umore delle persone attraverso parole e frasi, vuol dire che l’obiettivo è raggiunto.

Devo dire però che quello di “Il filo avvelenato” è un horror che sapevo di poter reggere, niente di troppo sovrannaturale come fantasmi & Co.
Sono stati più gli orrori storici ispirati da storie vere e dalla realtà storica a impressionarmi, che il potere maligno di Ruth.
Insomma, tra storia e mistero, sono certa che “Il filo avvelenato” riuscirà a intrattenervi e a trasportarvi in una storia terribile che vi lascerà con il fiato sospeso. I capitoli sono brevi e si lasciano leggere uno dopo l’altro, soprattutto quando il punto di vista che racconta resta lo stesso.

Mi è piaciuto molto lo stile dell’autrice, che varia a seconda del punto di vista: per Dorothy una sorta di diario, il racconto delle sue giornate, la raccolta dei suoi pensieri e delle sue azioni; per Ruth il racconto di una vita interrotto da sporadici “Mi ascolta, Miss?” che rendevano la narrazione ancora più realistica, come se lo stesse raccontando in quel momento anche a noi, in una prigione minuscola e buia, in attesa di un’inevitabile impiccagione.
Baci.


Voto libro - 4






 

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