Ne uccide più la lingua. Smontare e contestare la discriminazione di genere che passa per le parole

 


Genere: Scienze sociali

Scritto da: Valeria Fonte

25 ottobre 2022

"Cerca di passarci sopra, dai. Non dovevi vestirti così. Potevi dire no. Lo stupro è un'altra cosa. Perché non hai denunciato? L'ha uccisa in un raptus di gelosia. Sei troppo aggressiva." Non c'è donna che non si sia mai sentita rivolgere parole come queste. Parole a cui ci si abitua, tanto sono consuete. La violenza che contengono non ci stupisce, al massimo produce un groppo alla gola a cui non si riesce a dare spiegazione. E più queste parole diventano quotidiane, più si rischia di adottare lo stesso sguardo misogino sul mondo. Del resto, questo linguaggio non appartiene solo alla nostra quotidianità – il mondo reale e i social media – ma permea anche le pagine dei giornali, i salotti televisivi, i comizi dei politici. E non sono mai solo parole: “ne uccide più la lingua”, perché tutto ciò che ci permettiamo di dire legittima ciò che ci permettiamo di fare. Le parole che abbiamo a disposizione danno una forma ai nostri pensieri e plasmano la realtà. C'è un solo modo per debellare l'odio di genere che passa per le parole: imparare a riconoscerle, decostruirle e cambiarle. Valeria Fonte ci guida in un'analisi arrabbiata, minuziosa e lucidissima di tutti i discorsi scorretti – che siano apertamente violenti o sottilmente discriminanti – che leggiamo e ascoltiamo ogni giorno, e che non possiamo più accettare. Smontandoceli davanti agli occhi, ci aiuta a capire come rispondere e come difenderci. Perché le uniche parole con cui dobbiamo parlare, oggi, sono le nostre.


Salve salve!
Con il passare degli anni sono diventata sempre più consapevole del linguaggio, di come lo utilizzo io, come viene usato dalle persone a me vicine, come lo sfrutta il mondo che mi circonda.
Per questo, quando ho visto “Ne uccide più la lingua. Smontare e contestare la discriminazione di genere che passa per le parole” di Valeria Fonte ho deciso di leggerlo.
Il saggio è uscito il 25 ottobre per DeA, che ringrazio per la copia digitale.

Valeria Fonte (su Instagram @valeriafonte.point) ha studiato Lettere all’Università di Bologna e adesso è una laureanda alla magistrale di Italianistica. Il linguaggio, quindi, lo studia e lo vive da anni, e ora è diventato lo strumento per opporsi alle persone che il linguaggio lo usano, invece, come un’arma, consapevolmente o meno.
Quando qualcuno mi dice “Sono solo parole/Sono solo lettere, cosa potranno mai fare”, mi viene da sorridere.
La lingua sembra qualcosa di così banale, quando in realtà è lavoro, è divertimento, è vita e così può essere anche morte.
Dire “Sono solo parole” vuol dire lavarsene le mani, vuol dire scegliere di ignorare, vuol dire scegliere volontariamente di continuare a ferire e ad emarginare, a uccidere. Non per niente il proverbio da cui deriva il titolo di questo lavoro afferma che le parole feriscono più di un’arma vera e propria.

“Le parole mi hanno uccisa molte volte.
Lo sentite il mio grido feroce?
Sto tornando dalla tomba.”

Il saggio è diviso in due parti dai titoli di per sé esplicativi.
La prima è intitolata “Il discorso misogino sui social e nella vita di ogni giorno”, la seconda “Le narrazioni misogine sui giornali, in televisione e in politica”.
Ogni parte è composta di tre capitoli, ognuno suddiviso in vari paragrafi.

“Ignora!”, “Ma non sembri vittima di violenza.” “Denuncia!”, “E tu perché hai fatto questi video?”, “Sei troppo aggressiva.”, “Potevi dire no.”, Quelli non sono veri uomini!”, “Non roviniamogli la vita per un singolo errore.”, etc. etc.
Frasi assurde, vero? E invece sono i titoli di alcuni paragrafi del primo capitolo, di conseguenza sono le frasi, le esortazioni, le accuse, le parole che l3 vittim3 di violenza si sentono rivolte, che tutt3 noi temiamo di sentire, diciamoci la verità.
Fonte sviscera tutte queste affermazioni, le smantella sillaba per sillaba mostrando quanto sia comodo per chi le dice (più spesso che no uomini bianchi-cis-etero) e quanto sbagliate per chi le ascolta. Non solo sbagliate per le donne, che vedono sminuite le loro esperienze, le loro paure, i loro diritti con poche parole, ma per chiunque ascolti.
Perché?
Perché le parole restano. Sembra che entrino da un orecchio ed escano dall’altro, ma è un’illusione. Le parole, quando scelte con cura e dette con convinzione, trovano il modo di farsi spazio nella mente delle persone.
Perché chi per primo dice queste cose sa benissimo che tipo di discorso sta facendo, che tipo di discriminazione e di violenza sta perpetrando, ma soprattutto a che tipo di pubblico si sta rivolgendo.

Con questo lavoro, Fonte non solo fa un’analisi linguista, ma anche sociale e umana.
Nella prima parte, focus della sua analisi sono le risposte più comuni (alcune riportate in precedenza) alle notizie di violenza o di femminicidio, alle parole di chi è stato vittim3, alle manifestazioni per i propri diritti. Alcune risposte servono a far dormire sonni più tranquilli (Ma io sono un alleato!), altre hanno lo scopo di sminuire l3 vittim3 e le loro esperienze (Le vere violenze sono altre), altre sono un modo per convincersi che il mondo in cui viviamo sia giusto e corretto (Denuncia!) e che davvero funzioni come dovrebbe (spoiler: non è così).

“Agli uomini non si rimproverano le colpe. Quelle si recriminano solo alle femmine, insieme a tutte le cose che potevano evitare di fare.”

Viviamo in una società patriarcale, maschilista, capitalista, immersa profondamente nella cultura della violenza e nella cultura dello stupro. È difficile rendersene conto, poiché la violenza si insinua nei meandri più stretti e si mimetizza, passando per altro, ma alla fine resta quello, violenza, ma non è impossibile.
Il primo passo? Non offendersi quando qualcun3 dice le cose come stanno, senza mezzi giri di parole né paroline dolci per rendere la pillola più facile da digerire.

“La misoginia è ovunque, non solo nella morte: guardiamola prima che finisca nel sangue.”

Fonte ci fa vedere questo e altro attraverso l’analisi del linguaggio: artifici retorici, regole grammaticali, etimologia delle parole.
Come possono la linguistica e la retorica permetterci di sviscerare una società?
Ecco come si fa, Fonte ce lo mostra senza mai tirarsi indietro.
Non addolcisce nulla, non nasconde niente, espone ogni virgola con risolutezza, con decisione, con forza.
Ci va giù pesante, perché è l’unico modo che è rimasto per farsi sentire al di sopra della cacofonia di voci maschili che tentano di nasconderci e di zittirci.
Con grande coraggio, secondo me, Fonte scopre anche sé stessa, mettendo su carta le sue esperienze personali, senza nascondere nulla, senza pensarci due volte, diretta come un martello sulla testa di un chiodo, perché, a differenza di quel che vogliono farci credere, non c’è nulla di cui vergognarsi.

“Di cosa dobbiamo parlare, allora? Di consenso.”

Nella seconda parte, invece, Fonte passa a un’analisi di titoli e articoli di giovanile, dei discorsi di politici e presentatori, delle notizie date al telegiornale. Passa al vaglio le forme, le strutture e le parole, arrivando a parlare di notizie molto recenti legate sia alla politica che non.

“Tutto ciò che una categoria marginalizzata chiede è una vita decente, in cui non basta più resistere in modalità sopravvivenza. La retorica più in uso è quella del “se queste iniziano con il volere delle leggi per i fischi per strada, chissà cosa ci chiederanno più avanti: che ne sarà di noi?”. Ah, questo diritto alla vita dignitosa! Proprio non vogliono concedercelo.”

Devo dire che da un punto di vista linguistico, ho preferito la seconda parte, perché Fonte si concentra di più sulla teoria e sull’analisi linguistica, ci sono molte più nozioni teoriche, più informazioni tecniche.
Dal punto di vista umano, invece, tutto il libro è stato un colpo al cuore.
Dal punto di vista sociale, è un lavoro importante, che dico, fondamentale!
Chiunque dovrebbe provare a leggerne almeno un capitolo, in modo da rendersi conto di quanto sia importante diffondere un’analisi del genere.

È un libro che istruisce, che fa star male per la brutalità della narrazione, che apre gli occhi su particolari su cui spesso sorvoliamo, che incita all’opposizione, che spinge in campo.
Ma non è un libro che fa ragionare perché, come dice Fonte, quando si parla di misoginia, di omofobia, di razzismo, di violenza non si deve ragionare, non c’è giusto o sbagliato, non si può avere un’opinione diversa. È un crimine, è sbagliato, e deve essere sradicato alla base.
Chissà se ci riusciremo… ma nel frattempo ci proviamo!
Baci

Voto libro - 5













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